Nell’ordinamento statunitense il corso più importante delle Law Schools è proprio quello del “legal writing”, perché esso, “combinando chiarezza e concisione”, ha come obiettivo “di produrre qualcosa di efficace per il lettore, non di rigurgitare dottrina” (lo scrive Gerard Lebovits giudice a NY City e docente alla Colombia Law School).
L’argomento ha cominciato a diffondersi ed acquisire importanza anche nel nostro ordinamento sulla scorta delle istruzioni messe a punto dalle istituzioni europee laddove, la necessità di operare traduzioni nelle lingue dei paesi membri e le differenze di lessico dei vari ordinamenti hanno reso necessario formulare veri e propri vademecum intesi a disciplinare la tecnica di redazione degli atti cui gli utenti dovevano conformarsi.
Già nel 2009 la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha approvato e diffuso una Guida per gli avvocati in cui, al §14 – intitolato Suggerimenti pratici in ordine alla struttura degli atti” viene sintetizzato mirabilmente il principio cardine dell’argomento: “Una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto”. “E’ auspicabile che gli atti processuali siano strutturati in maniera chiara e logica, divisi in parti distinte con titoli e numeri dei singoli paragrafi. Oltre al sunto dei motivi e degli argomenti, in cause complesse potrà risultare utile un indice delle materie.”
Anche ai fini della facilità della traduzione, la Corte ricorda che gli scritti devono essere redatti “in un linguaggio semplice e preciso, senza fare ricorso a termini tecnici propri di uno specifico ordinamento giuridico nazionale. Le ripetizioni vanno evitate e le frasi brevi devono essere preferite, il più possibile, a quelle lunghe e complesse, contenenti incisi e frasi subordinate”. “In aggiunta a questi requisiti formali, gli atti processuali depositati dinanzi alla Corte devono essere redatti in modo tale che sia possibile comprenderne la struttura e la portata sin dalle prime pagine.”
La C.E.D.U. ha invece adottato un vero e proprio formulario di ricorso in applicazione del già esplicito art.47 del Regolamento della Corte. Al formulario si può aggiungere un documento di massimo 20 pagine nel quale esporre in maniera dettagliata i fatti, le violazioni della Convenzione lamentate e le relative argomentazioni.
In Italia è per primo il processo amministrativo che all’art. 3 del Codice di rito prevede: “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”.
Il Presidente del Consiglio Di Stato con decreto 25 maggio 2015 n. 40 – sulla sinteticità degli atti defensionali – in attuazione dell’art. 40 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 – ha poi posto più stringenti e prescrittive regole dimensionali, come quella delle 30 pagine per gli atti introduttivi, aumentabili fino a 50 quando siano trattate “questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse ovvero attengano ad interessi sostanziali perseguiti di particolare rilievo economico”.
Ha altresì previsto chiare regole formali prescrivendo che “ gli atti debbono essere redatti su foglio A4, mediante caratteri di tipo corrente (ad es. Times New Roman, Courier, Arial o simili) e di dimensioni di almeno 12 pt nel testo e 10 pt nelle note a piè di pagina, con un’interlinea di 1,5 e margini orizzontali e verticali di almeno cm. 2,5 (in alto, in basso, a sinistra e a destra della pagina)” (cfr. art. 12).
I medesimi requisiti formali sono richiamati dal Protocollo d’Intesa adottato dalla Corte di Cassazione nel dicembre 2015.
Nel contempo, molti Tribunali, sulla scia del Tribunale di Milano (che aveva adottato già nel 2012 il Protocollo degli Atti Processuali Civili), anche al fine di garantire la “fruibilità elettronica” del testo in esito all’esordio del processo telematico, hanno adottato propri Protocolli degli atti processuali civili che si propongono di identificare il contenuto minimo indispensabile degli atti di parte, in modo da renderne più agevole la consultazione nel corso del procedimento.
Tutti tali Protocolli prescrivono le medesime regole formali (font e dimensioni carattere e pagina) e, in ordine alla struttura dell’atto ne suggeriscono la suddivisione in parti distinte con una breve premessa illustrativa od un sommario e un testo organizzato in paragrafi con titoli e numeri dei singoli paragrafi.
La frontiera è andare verso una standardizzazione degli atti secondo format precostituiti. L’esigenza è imposta, da un canto, dal processo civile telematico e dall’altro dalla collaborazione fra ordinamenti diversi e dalla necessità di accettare istanze di soggetti che provengono da altre giurisdizioni (ad es. il decreto ingiuntivo europeo).
La standardizzazione è invero utile a tutti: all’avvocato che, se dispone di un modello di riferimento per la redazione di un atto, più difficilmente dimenticherà gli elementi fondamentali che quell’atto deve contenere; al giudice che, quando si trova di fronte a un atto strutturato sulla base di un modello di riferimento può concentrarsi sull’essenziale, senza dover scorrere decine di pagine per cercare le informazioni fondamentali.
Il giudice che legge un atto giudiziario chiaro, organizzato in una esposizione sintetica, può rendere provvedimenti più veloci e più accurati. Se, infatti, gli atti difensivi sono prolissi e farraginosi e disordinati, il giudice impiega più tempo per leggerli e studiarli e per trovare e decidere la causa. Ma se, al contrario, gli atti sono chiari, completi, sintetici, logici, il giudice è favorito nello studio della causa e nella redazione del provvedimento.
E perciò, l’effetto finale è quello di velocizzare i processi.
Ma come andrebbe dunque redatto un atto giudiziario?
Riassumiamo alcune indicazioni generali per una buona strutturazione degli atti civili.
- individuare i contenuti tipici dell’atto relativo a un certo tipo di azione: cosa deve esserci (normalmente) in una citazione, in un ricorso, cosa in una comparsa o una memoria istruttoria;
- ordinare questo contenuto secondo principi di chiarezza, intelleggibilità, funzionalità e logica rispetto alla finalità dell’atto. Ci deve essere stretta aderenza rispetto all’oggetto reale della controversia, al petitum e alla causa petendi di quell’azione;
- organizzare l’atto in capitoli o paragrafi distinguendo le deduzioni in fatto dalla parte in diritto. Analoga suddivisione dell’atto è richiesta per le memorie istruttorie, suddividendo i capitoli di prova in paragrafi che fanno riferimento a quelli della parte espositiva (per esempio sull’addebito, sull’assegnazione della casa, sull’affidamento dei figli, eccetera);
- redigere un indice dei paragrafi e in ogni caso inserire titoletti esplicativi in carattere grassettato. L’organizzazione e divisione dell’atto deve permettere agevolmente di percepire immediatamente i fatti e le richieste anche qualora venga letto per saltum.
- dopo l’indicazione delle parti inserire un sommario, un breve abstract che contenga la descrizione dell’oggetto. Ovverosia una breve e accurata sintesi del contenuto dell’atto di citazione, senza note aggiuntive di interpretazione o di critica. L’abstract si limita in pratica a condensare brevemente e fedelmente gli aspetti sostanziali del documento esaminato. Un abstract ben redatto consente di identificare con immediatezza il contenuto fondamentale dell’atto e dunque individuare immediatamente il petitum immediato e mediato e la causa petendi e di orientare il lettore;
- distinguere i fatti dalle opinioni, dalle valutazioni e dai commenti in diritto, redigendo le deduzioni in fatto in modo chiaro, per punti specifici, in maniera oggettiva, cronologica, circostanziata, priva di qualsiasi valutazione o giudizio di natura soggettiva. Dal paragrafo delle deduzioni debbono essere bandite:
- le argomentazioni ( ad esempio “Tizio si impegnava ad effettuare l’intervento riparativo, così riconoscendo il vizio…”);
- le valutazioni e giudizi (ad esempio: “Tizio infondatamente e pretestuosamente pretendeva che ….”);
- le inferenze causali (“Per contenere il danno, Tizio prendeva a nolo un’altra auto …. faceva smontare il motore …”).
L’individuazione precisa e per punti del fatto semplifica il compito sia alla controparte (che può meglio individuare le circostanze da contestare e quelle da riconoscere), sia al giudice che può verificare agevolmente se nelle successive memorie venga operata una mera emendatio libelli ovvero un mutamento, non consentito, della domanda;
- scandire la descrizione del fatto sulla falsariga del diritto, tenendo a mente che i capitoli in fatto sono anche capitoli di prova. La parte “in fatto” (che nell’atto civile è la parte più importante) deve illustrare la descrizione dei fatti su cui si fonda la domanda e rappresentare tutte le circostanze che la norma in base alla quale si fonda richiede quali requisiti con onere della prova a carico di quella parte. Occorre dunque partire sempre dalla fattispecie concreta e descriverla sulla base della fattispecie astratta invocabile, in modo che detta descrizione combaci perfettamente alla fattispecie. Questo consente, tra tutte le circostanze di un fatto storico di selezionare solo le circostanze fattuali importanti ricomprese nella fattispecie costitutiva del diritto azionato e di distinguere i fatti principali da quelli secondari;
- organizzare il fatto secondo una progressione logica. Bisogna partire dal presupposto che chi legge non conosce nulla dei fatti e perciò, nel rappresentarli occorre rispondere a tutte le domande che a quel punto, qualsiasi lettore si farebbe. Cioè non posso cominciare dalla fine ma procedere per logica senza salti logici come se si stesse raccontando un fatto ad un bambino. A titolo esemplificativo: se l’azione è contrattuale e il diritto sorge da un contratto è bene citare per prima cosa il contratto stesso. Se l’azione è aquiliana (ex art. 2043 c.c.) è bene parlare immediatamente del fatto illecito, dell’evento, ovvero del sinistro stradale o dell’omessa vigilanza in modo preciso e circostanziato, descrivendone le modalità di svolgimento;
- eliminare i contenuti superflui e le ripetizioni ed evitare la capitolazione di prove inutili, perché ininfluenti rispetto all’oggetto del contendere. In generale, appesantiscono la trattazione, rendono disagevole il contraddittorio e impediscono l’emersione delle specificità della causa. Contenuti di questo genere, nella misura in cui non sono funzionali al diritto di difesa, contrastano con il principio di ragionevole durata del processo e anche col dovere di lealtà e probità del difensore;
- citare gli orientamenti giurisprudenziali più rilevanti con enunciazione sintetica e riferimento alla rivista o ai siti ove la medesima può essere reperibile. In generale, evitare di citare giurisprudenza su argomenti noti e banali per un operatore del diritto. In ogni caso, rendere sintetici i richiami di giurisprudenza (ad esempio inserendo le massime in nota a piè di pagina, in modo da evitare di frazionare il discorso)..;
- numerare i documenti ed elencarli anche con elenco separato. Se si citano in un atto diverso da quello in cui sono stati prodotti, indicare a fianco del documento, la memoria con cui sono stati prodotti;
- nella parte in diritto, se sviluppata con cura e particolarità la parte in fatto, il difensore potrà evidenziare ogni implicazione giuridica non essendoci ovviamente limiti di sorta all’esposizione delle tesi che si vogliano sottoporre all’attenzione del giudicante. E proprio in questa sede potranno essere effettuati i doverosi richiami agli elementi fattuali descritti nella narrativa, a sostegno della propria difesa. Organizzare sinteticamente questa parte negli atti introduttivi, atteso che la sede naturale di una disamina più approfondita in diritto è la comparsa conclusionale. E’ sufficiente fare solo brevi cenni di inquadramento e sintetici riferimenti dottrinari. Anche perché applicandosi il principio del “iura novit curia”, è bene curare in maniera più accurata la parte in fatto. Se vi siano più qualificazioni giuridiche, le diverse qualificazioni andranno proposte in via gradata. Le valutazioni giuridiche non necessiteranno di contestazione specifica in quanto l’art. 115 c.p.c. prevede la contestazione specifica solo per i fatti;
- nelle conclusioni viene enunciato il petitum. Le domande possono essere cumulative, alternative o poste in via subordinata. Fondamentale è l’indicazione del tipo di provvedimento che si intende ottenere (ad esempio, domanda di accertamento, domanda di condanna e domanda costitutiva). A volte è possibile formulare più richieste, congiunte o alternative. In quest’ultimo caso occorrerà graduare le domande, ponendo come principale quella più ampia e più vantaggiosa per la parte e come subordinate le eventuali altre. E’ superfluo ricordare come nelle conclusioni vada anche inserita la richiesta di rifusione delle spese processuali.
- elencare numericamente tutte le produzioni effettuate ed indicare i testi.
Ma quali sono le sanzioni o i rimedi ove l’avvocato non si adegui?
Appare arduo farne conseguire effetti sulla liquidazione delle spese.
La sanzione di gran lunga più certa è che il giudice sottoporrà la domanda a maggiori approfondimenti, chiamerà le parti a chiarimenti, nutrirà una tendenziale e naturale sfiducia per il legale inutilmente prolisso e confusionario. Anche perché è un dato di fatto noto che spesso, chi sa di non avere ragione cerca intenzionalmente di esporre i fatti in maniera confusa, in modo da spostare l’attenzione su questioni irrilevanti e impedire alle altre parti e al giudice di mettere a fuoco l’oggetto della controversia.
Certo, il comportamento dell’avvocato inutilmente prolisso potrebbe avere riflessi sul piano
deontologico: è, in fondo, un professionista carente quantomeno nell’ottica della tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, della qualità ed efficacia della prestazione (art.1 Cod. deont. for.), in violazione perciò, dei doveri di competenza (artt.14 e 26) e di aggiornamento professionale (art.15: e non dimentichiamo che l’obbligo di aggiornamento è prescritto “nell’interesse del cliente e della parte assistita, della amministrazione della giustizia e della collettività”: art.5 del Regolamento C.N.F. n.6/2014 sulla formazione continua).
E’ proprio vero comunque che scrivere chiaro e conciso richiede maggior tempo, maggiore sforzo, maggiore abilità, maggiore preparazione.
La differenza tra un atto ben fatto e uno scritto male è che, nel primo caso chi scrive ha ordinato i concetti in sintesi; nel secondo caso, questo lavoro deve essere fatto dal lettore.
E di solito, lo si capisce subito, perché dopo aver letto si sente l’esigenza di schematizzare i concetti oppure, ancor più grave, il lettore si pone domande che non trovano risposte nell’atto.